Un po' di pazienza
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Story

Quella Balilla con l’ombrellone

La storia dell'automobile andrebbe certamente insegnata ai nostri ragazzi. Ne è convinto Paolo Luisoni, libero professionista attivo nel Bellinzonese. Per comprendere il Novecento, capirne le trasformazioni sociali, urbanistiche ed economiche, ma anche le lacerazioni ideologiche, lo studio dello sviluppo delle quattro ruote è un'attività imprescindibile.

Alcune delle menti più geniali e creative si sono cimentate con la sua evoluzione. Dai motori, ai telai, alla carrozzeria, l'automobile ha rappresentato un sogno fatto di meccanica e libertà. Un sogno che certamente ha richiesto un prezzo elevato per essere realizzato, ma che continua a vivere nei gioielli costruiti nella prima metà del Novecento. Refined soluzioni ingegneristiche, rese eleganti da carrozzerie uniche e che ancora oggi macinano chilometri sulle strade di tutto il mondo, grazie alla cura e alla dedizione riservata loro da una moltitudine di appassionati e collezionisti.
A parlarcene è lo stesso Luisoni.

Avvocato, quando nasce la sua passione per l’automobile?

“Penso che sia qualcosa di innato, una passione ereditata probabilmente da mio nonno materno. Mio padre e il mio povero fratello, seppure in modo diverso da me, erano pure degli appassionati di automobili. Io le amo in modo generale, ma ho una vera passione per le auto d’epoca, modo di dire appropriato ma che ritengo un po’ pomposo. Infatti le ho sempre viste e vissute come auto “vecchie”, naturalmente con tutto il rispetto per quello che esse rappresentano. Ricordo una scena che vissi da bambino: erano gli anni Cinquanta, tornavamo dal mare e su un passo degli Appennini, in una giornata grigia e di pioggia, rimasi colpito dall’immagine colorata di tre giovanotti sorridenti a bordo di una Balilla torpedo, arrancante sulla salita, che si riparavano con un ombrellone da un potente acquazzone. Fu per me la scintilla che fece nascere l’idea dell’automobile come qualcosa di divertente, nel miglior senso del termine e da allora non ho mai abbandonato questa visione”.

 

La sua prima auto?

“A 20 anni, nel 1972, acquistai per pochi soldi una Mercedes 170 S del 1953. Mi piaceva perché aveva delle forme anteguerra. La sistemai e la tenni per anni. Riuscii anche a entrare nel Club ticinese delle auto d’epoca (SMVC Sezione Ticino, nda), anche se a quell’epoca in Svizzera erano considerate tali solo quelle costruite prima del 1939. Oggi invece dopo trent’anni un’auto può già essere classificata d’epoca e beneficiare di sensibili facilitazioni nell’ambito della circolazione e delle assicurazioni, pur con delle limitazioni di chilometraggio annuo”.

 

É obbligatorio essere iscritti a un club?

“No. Però i club sono importanti in quanto alimentano le conoscenze sia interpersonali che tecniche e storiche, aiutando anche nella ricerca del veicolo più adatto. Inoltre i club regionali sono affiliati alle federazioni nazionali e queste ultime alla FIVA (Fédération Internationale des Véhicules Anciens), che collabora con l’UNESCO. In questo modo si cerca di tutelare quello che è certamente un patrimonio culturale e la libertà di muovere i veicoli storici sulle nostre strade”.

 

Oggi qual è la sua collezione?

“Ho quattro auto inglesi d’anteguerra. Infatti solo nel 1989, dopo aver avuto qualche auto degli anni ’50 e ’60, ho potuto acquistare una Bentley del 1936, che posseggo tutt’ora. Si tratta di una berlina sportiva con la quale ho fatto molti viaggi sia in Inghilterra, che in Germania, Francia e Italia. Mi piaceva e mi piace tutt’ora (anche se il traffico è decisamente aumentato) utilizzare l’auto vecchia non tanto per partecipare a raduni, ma per il semplice piacere di viaggiare.

I miei ricordi più belli sono infatti legati a gite con poche automobili e pochi - ma buoni - amici, attraverso la Francia, sino all’Inghilterra, probabilmente madrepatria della nostra passione e ricca di manifestazioni bellissime. Il piacere e la sfida stanno per me proprio nel percorrere la strada sino al punto d’arrivo. Amo l’automobile così come concepita, cioè una macchina ingegnosa fatta per viaggiare”.

 

Sono ancora auto affidabili?

“Certamente! Bisogna sfatare senza indugio il mito dell’auto d’epoca che fa fumo nero, che è scomoda, che non frena… Sono invece gioielli della meccanica! L’auto vecchia, se restaurata nel rispetto dell’autenticità e dell’originalità e poi mantenuta correttamente come previsto dalla casa costruttrice, raramente ti lascerà per strada.

Inoltre, non essendoci elettronica, le riparazioni spesso possono essere effettuate con pochi di mezzi di fortuna. La manutenzione del proprio veicolo è una parte molto importante della passione e il coinvolgimento personale in questo tipo di attività è fonte di grande soddisfazione e permette di ottenere una conoscenza più profonda dell’auto e delle tecniche di costruzione dei tempi”.

 

Quindi non ha mai avuto guasti?

“Raramente. Sono sempre riuscito ad arrivare alla meta senza grandi problemi”.

 

Queste auto hanno storie particolari?

“Sì, spesso. Una delle mie, risalente al 1926, ha avuto 7 proprietari ed è stata esposta per un lungo periodo al Museo della Scienza e della Tecnica di Londra durante gli anni ‘70, mentre precedentemente era stata anche in America. Negli anni ’50 viaggiava sulle strade svizzere in quanto il proprietario di allora era un professore di inglese alla Scuola internazionale di Ginevra. Per raggiungere la Svizzera, l’auto veniva imbarcata su di un vecchio bombardiere trasformato ad hoc, appartenente alla Silver City Airlines. Questi ferries partivano dal sud dell’Inghilterra e atterravano a Le Touquet Plage in Francia. Da lì il professore partiva alla volta di Ginevra. Un lungo viaggio, ma nessuno allora ne faceva dei drammi, anzi!

La ricerca della storia vissuta dalla propria automobile è molto coinvolgente e talvolta fa nascere relazioni amichevoli, anche al di là dei nostri confini”.

 

Quindi sono auto nate per viaggiare?

“Sì. Soprattutto in Inghilterra nel periodo fra le due guerre sono state progettate e prodotte molte automobili capaci di sopportare le grandi distanze. Ad esempio negli anni ‘30 la Rolls-Royce produceva un modello chiamato Continental, proprio destinato a viaggi veloci verso il continente soprattutto la Francia. Va ricordato anche che sempre in quegli anni la Germania Nazional Socialista si stava dotando di lunghi tratti autostradali, incrementando gli studi di aerodinamica per proporre auto capaci di alta velocità e minori consumi”.

E per i pezzi di ricambio come si fa?

“La passione per le auto di un tempo ha avuto uno sviluppo enorme a partire dagli anni ’50, soprattutto in Inghilterra. Il settore è diventato sempre più professionale e oggi vi trovano occupazione una miriade di persone, attive nell’ambito del restauro, della manutenzione, del commercio di vetture e nella produzione di pezzi di ricambio. Per marche assai diffuse (e qui mi riferisco a Fiat, Volkswagen, Mercedes, Rolls-Royce,  Bentley, MG, eccetera) non vi sono apparentemente difficoltà nel reperire pezzi di ricambio. Occorre però prestare attenzione alla loro manifattura, verificando sempre che essa sia di qualità.

Difficilmente invece si trovano parti della scocca delle vetture anteguerra in quanto molte erano vendute sotto forma di telaio e motore, mentre la carrozzeria veniva fatta allestire dal carrozziere di fiducia. Per fortuna esistono oggi ottimi artigiani in grado di riprodurre particolari meccanici e di carrozzeria alla perfezione. È un mestiere che richiede grande intelligenza e abilità manuale: nell’ultimo decennio sono nate scuole di restauro grazie alla cui formazione molti giovani troveranno adeguata occupazione”.

 

Ci vuole una specifica cultura per essere collezionisti?

“Assolutamente no! Ci vuole solo passione come in tutte le cose. Posso parlare per me. Nel mio caso è nata prima la passione per la storia dell’automobile: a otto anni ricevetti infatti il mio primo libro sull’argomento, che custodisco ancora gelosamente. A poco a poco ne ho acquistati molti altri, imparando anche l’inglese come autodidatta in quanto le pubblicazioni fondamentali e più antiche, sono in quella lingua. Contrariamente a quanto si può immaginare, in questi libri non si scrive solo di motori o telai - argomenti che pure mi affascinano per la loro genialità - ma le pubblicazioni coprono tutte le sfaccettature legate all’auto. Si passa dalla storia economica e sociale dell’avvento e della diffusione dell’automobile, all’evolversi dell’aerodinamica, dello stile, del design, senza dimenticare le corse su strada e su pista, i record di velocità… Per non dire delle storie personali di industriali, progettisti, piloti o semplici persone che si sono avvicinate all’automobile nel corso della loro vita per motivi diversi. È una storia così ricca, così profondamente umana ed affascinante che potrebbe essere insegnata ai giovani per comprendere meglio il nostro recente passato”.

 

Gli episodi di vita vera sono sempre affascinanti: ce ne sono legati al mondo della progettazione?

“È stupefacente la storia George Paulin, un meccanico dentista sconosciuto ai più e che invece andrebbe ricordato ogni volta si incontra un’automobile cabriolet con il tetto metallico retrattile.

Perché? Negli anni ‘30 a Nizza, Paulin aveva avuto modo di osservare un distinto signore che con fatica, sotto un diluvio, cercava di alzare la capotte della sua splendida Delage. Gli venne così l’idea di realizzare un tetto retrattile a scomparsa (nel baule) con funzionamento elettromeccanico. La propose a Citroen, che si disse non interessata in quanto impegnata con la progettazione della poi famosa Traction. Peugeot invece acquistò il brevetto e nacque così un capolavoro tecnologico e di stile dell’epoca: l’Eclipse. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale Paulin era ingegnere alla Avions Kellner-Béchereau a Parigi e collaborava anche con la casa automobilistica Bentley. Subito dopo l’occupazione germanica della Francia, egli iniziò ad essere attivo per i servizi segreti britannici contro i nazisti. Purtroppo il gruppo fu scoperto dalla Gestapo e tutti furono condannati a morte. Paulin fu giustiziato sul Mont Valerien nel 1942: aveva 40 anni e una famiglia…”

 

A proposito di Svizzera e Ticino, come si sviluppò la cultura dell’auto?

“Senz’altro l’auto è stato uno strumento che ha consentito una maggiore mobilità specialmente nelle valli e ha contribuito allo sviluppo del turismo. Il Ticino politico tra le due guerre aveva rivendicato anche per due volte maggiori interventi da parte della Confederazione per creare un collegamento al Gottardo sicuro anche d’inverno. Diverse cronache ricordano che la tirata di Cadenazzo e il Monte Ceneri furono teatro di molte e importanti gare automobilistiche. Il fascino del movimento si scontrava però anche con la paura per il nuovo mezzo di locomozione: nei Grigioni, fino al 1923, era vietato il transito delle auto che dovevano essere trainate sino al confine”.

 

Si sente più collezionista di auto o di pubblicazioni e materiale cartaceo?

“Non sono un collezionista di automobili: le collezioni, come quelle in altri settori, sono costituite in modo organico e spesso anche didattico, al di là del piacere personale del possesso. Io ho delle automobili che mi piacciono ma non posso dire che mi piacciano di più di quelle che non posseggo e che ammiro quando ve ne è la possibilità. Volentieri, per contro, mi definisco un cultore, se non collezionista, di libri sull’argomento e devo ammettere che queste letture mi danno sempre piacere e nuovi stimoli di ricerca”.

Ci congediamo con le parole scritte da Luisoni: “La storia dell’automobile ci ha accompagnato, ci ha plasmato e influenzato. È fatta di tecnica, di forme cangianti, di aspirazioni e delusioni, di velocità, di vita e di morte, di progresso e di libertà. È fatta di storie di uomini”.

 

Paolo Luisoni
Anno di nascita: 1952
Professione: avvocato e notaio

Luisoni ha sempre affiancato la passione per le auto prodotte tra le due guerre mondiali e più in generale, per la storia dell'automobile, collezionando migliaia di volumi e documenti sull' argomento.

Foto Paolo Luisoni Sunbeam Rientro

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