Un po' di pazienza
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Story

Il prosciutto che sa di camino

Il maiale, el porscéll, è forse l’animale che si è rivelato più importante per la tavola contadina. Come una dispensa ambulante, è stato utilizzato nelle più diverse preparazioni, pronto per essere consumato nel corso dei mesi. La lavorazione principe resta quella del prosciutto (dal latino perexuctus, che significa asciugato), anche se ogni zona, nei secoli, ha affinato le sue varianti. 

 

Un patrimonio gastronomico che oggi si cerca di tutelare dalla massificazione dei gusti “global”. Il Moesano può infatti vantare un prodotto che è entrato a far parte del patrimonio culinario svizzero: il prosciutto crudo della Mesolcina (presutt o parsutt mesolcines). A renderlo unico è l’affumicatura e l’uso dell’aglio per insaporirlo. Le aziende che continuano a produrlo si contano sulle dita di una mano, tra queste vi è la Fagetti di Roveredo. Aperta 61 anni fa da Lorenzo “Nini” e da sua moglie Graziella, vede ora il figlio Moreno proseguire la tradizione. Li abbiamo intervistati.

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Quando si entra nella Macelleria Fagetti a Roveredo, tutto parla di tradizione. A saltare all’occhio non sono solo le prelibatezze gastronomiche in bella mostra nel banco e appese ai muri, si resta affascinati dalla rossa affettatrice Berkel (“è del 1911”, ci racconta Moreno) e dai campanacci appesi sotto il soffitto (“un hobby, avevamo capre e mucche un tempo”).

Ad accoglierci è Moreno con la madre Graziella, il “Nini” non c’è. “L’abbiamo mandato in pensione - racconta la moglie -. Anche se, nonostante gli 86 anni, appena può passa lo stesso di qua in negozio. La passione è più forte di lui. Oggi non c’è, perché ci sono i Mondiali di sci alla televisione. È l’unico modo per tenerlo a casa”.

 

Allora tutti i segreti li ha passati a Moreno? Quali sono?
“I segreti son segreti”, risponde sorridendo Moreno.

Qualcosa però sappiamo. Per fare il Prosciutto crudo della Mesolcina le cosce dei maiali vengono salate, speziate e affumicate, e l’aglio è sempre presente nella mistura. Giusto Moreno?
“Sì. Aglio e vino nostrano. Poi ogni produttore aggiunge la sua miscela di spezie. La fase della salagione vede i prosciutti massaggiati con una miscela di sale e pepe. Poi si lasciano in una cassa per un paio di giorni a circa 5 °C. A questo punto si aggiungono l’aglio pestato e il vino rosso. A salatura finita, dopo circa tre settimane si passa all’affumicatura”.  

E come avviene?
“Siamo rimasti in pochi a farla. Io lascio i prosciutti nell’affumicatoio per una settimana. Nel camino metto legna dei boschi, un misto. L’importante è che sia legna ben secca che dia un fumo dolce. Poi i prosciutti passano altre tre settimane nel locale vicino ad asciugare”.

Una tecnologia antica di secoli?
“Sì. Qui si fa sempre allo stesso modo. Nuove tecniche non servono per avere il sapore tradizionale”.
“Cavallo vincente non si cambia”, dice sorridendo la signora Graziella.

I maiali da dove provengono?
“Sono tutti maiali svizzeri - spiega Moreno -, ma per la maggior parte arrivano da oltre Gottardo. Però a volte ci portano da macellare qualche maiale nostrano della valle. Noi abbiamo ancora il macello, e così produciamo anche dei prosciutti al cento per cento mesolcinesi”.

Che tipi di prosciutti producete?
“C’è il fiocco, che è di dimensioni maggiori, formato dalla parte posteriore della coscia, e la noce, più magra e più piccola, che è la parte anteriore. Il fiocco ha tre mesi e mezzo o quattro di stagionatura, la noce circa un mese”.

Quant’è la vostra produzione?
“Circa duemila pezzi di fiocco e mille di noce l’anno”.

Chi sono i vostri clienti?
“Molti vengono da fuori valle. E ci sono anche diversi giovani, hanno conosciuto il prodotto e lo cercano. Adesso si trova anche alla Migros. Molti oggi preferiscono mangiare poco ma buono. Anche se i tempi e le abitudini sono cambiate e non è sempre facile restare sul mercato. Un tempo a Roveredo eravamo tre macellerie, oggi siamo rimaste solo due”.

Come va mangiato?
“È perfetto per un antipasto, una merenda ma anche un panino o su una fetta di pane scuro. L’importante è tagliarlo né troppo fine, né troppo spesso, e dopo averlo lasciato almeno una mezzora a temperatura ambiente. Solo così sprigiona tutti i suoi aromi. E poi non guasterebbe berci assieme un buon bicchiere di vino nostrano”.

È un lavoro che richiede sacrifici?
“Certamente è impegnativo, c’è il negozio da seguire e c’è la produzione da fare. Però dà anche tante soddisfazioni, si viene ripagati quando si vede che i propri prodotti sono apprezzati dalla clientela e vengono continuamente richiesti”.

È quello che ha motivato il “Nini” per sessant’anni?
“Sì - racconta la moglie -. Ha sempre avuto una grande passione per questo lavoro. Aveva fatto l’apprendista dal Boldini. Poi, appena ha potuto, ha aperto la sua macelleria. Eravamo giovanissimi”.  

La signora Graziella ricorda quel “colpo di testa” di 61 anni. “Avevo 22 anni, ci sposammo e aprimmo il negozio. Soldi non ce n’erano, però la gente era diversa, più disponibile. Aprimmo là - dice indicando l’edificio di fronte -, poi ci trasferimmo qui, nel posto dove prima io lavoravo da sarta. E da allora non ci siamo mai fermati”. 

Il figlio Moreno ne ha raccolto la tradizione e ora spera che sua figlia, Giulia, prosegua la tradizione. Lei è già pronta, ha finito l’apprendistato, la scorgiamo affacciarsi dal retro. Nei suoi occhi c’è il futuro del Prosciutto della Mesolcina.

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