Un po' di pazienza
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Story

Il dottore degli edifici

Accade in molte professioni.
Per esempio, uno vuole curare le persone, diventa medico, e poi finisce dietro una scrivania da dirigente sanitario a firmare autorizzazioni.

Sergio Tami è nato con la passione di prendersi cura degli edifici. Ingegnere civile, si è specializzato nella fisica della costruzione, che include anche lo svolgimento di perizie, pensando alle sempre maggiori esigenze e attese che le persone hanno nei confronti di un semplice edificio.

 

Il suo responso è fondamentale. Sulla sua “diagnosi” e la sua “prognosi” si basano assicurazioni e assicurati per avviare le cure. Quando però ti piace far bene il tuo lavoro, cerchi di scegliere dei validi aiutanti, di offrire un servizio migliore al cliente. Perciò, può succedere di ritrovarsi a capo di un’azienda con 80 collaboratori e di dover pensare più a gestire la società che ad andare sul campo. Così è avvenuto per Tami. L’ingegnere, superati i 50 anni, si è però accorto che la voglia di prendersi cura degli edifici non era passata. Anche perché oggi vi sono nuove condizioni che possono facilitare i “malanni” delle case: dai cambiamenti climatici alla complessità tecnologica. Quando la creatura nata 21 anni fa (IFEC ingegneria), al raggiungimento della maggiore età è convolata a nozze, Tami ha preferito continuare la professione con Galli Partners Consulting SA a un futuro dietro la scrivania da dirigente di multinazionale. Ce lo racconta in questa intervista, assieme alla passione di insegnare il “mestiere” alle nuove generazioni.

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Tami, lei ha fondato e sviluppato IFEC, che è diventata una delle più grandi realtà di studi ticinesi d’ingegneria. Tre anni fa IFEC è entrata in un gruppo multinazionale come AFRY, ora vi è il suo impegno in Galli Partners Consulting. Quali sono i motivi che l’hanno spinta in questa direzione?

“A dire il vero, volevo semplicemente continuare a fare il mio lavoro, la cosa che più mi piace: le perizie per i danni alla costruzione, le mediazioni per aiutare le persone a litigare meno. Al momento dell’integrazione con AFRY avrei avuto la possibilità di avere un posto dirigenziale a Zurigo, ma ho preferito tornare a restare attivo nella mia professione. Ero consapevole che IFEC aveva raggiunto una solidità tale che una mia uscita era di fatto indolore”.

 

Allora facciamo un passo indietro, al 1994.

“Fu mia moglie Sara, che non finirò mai di ringraziare, a convincermi ad aprire una mia attività libero professionale. Poi, fino al 2000, sono rimasto da solo. In quell’anno, con il mio socio Dario Bozzolo abbiamo fondato IFEC consulenze, con noi, all’epoca, c’era solo l’architetto Giovanni Laube. Siccome volevamo seguire bene i clienti, abbiamo iniziato ad assumere collaboratori. Diciotto anni dopo, al momento dell’entrata in AFRY eravamo in ottanta”.

Numeri importanti per il Ticino.

“Senz’altro per la realtà ticinese sono numeri di rilievo per il settore. Il Ticino ci ha dato tanto e sono convinto continuerà a darcene, ma, se si volevano prendere dei mandati oltre Gottardo o a livello internazionale, inevitabilmente, occorreva crescere ed entrare in realtà di dimensioni maggiori”.

 

È stata una scelta per dare continuità a IFEC, che poteva portarla a essere manager all’interno di una realtà più grande. E invece?

“Invece amo il mio lavoro di perito e si sono create le condizioni per poterlo fare in Galli Partners Consulting, in modo da evitare possibili potenziali conflitti d’interessi. Anche se la mia collaborazione con IFEC, su alcuni mandati, rimane, sfruttando tutte quelle sinergie che vanno alla fine a vantaggio proprio del cliente”.

 

Parliamo dunque della sua attività. Quali sono oggi le maggiori emergenze rispetto ai danni alle costruzioni?

“Uno dei temi fondamentali è quello legato ai cambiamenti climatici. L’ultima estate è stata esemplare in Ticino. Fenomeni atmosferici che un tempo nelle nostre zone si pensavano come eventi straordinari diventano più frequenti. Solo per fare un paio di esempi, siamo intervenuti per le perizie all’aeroporto civile di Locarno, per un episodio di cui hanno parlato anche le cronache, che ha visto scoperchiato l’hangar1 a causa delle forti raffiche di vento. In un altro caso i danni sono stati riportati da un’abitazione a causa dell’inondazione avvenuta per la tracimazione di un riale”.

 

In questi casi cosa fate?

“Innanzitutto, si tratta di offrire un aiuto alle persone, per permettergli di riutilizzare il prima possibile il proprio bene danneggiato. Nella fattispecie, ad esempio, stabilendo il risarcimento spettante dal punto di vista assicurativo”.

 

Gli interventi di risanamento sono poi solo conservativi?

“Dipende. Di certo quella è la priorità, però si può approfittare della necessità di un intervento, per cercare di aumentare le prestazioni dell’edificio. Di fronte ai cambiamenti climatici anche le normative si stanno adeguando”.

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Quali sono le altre cause di danneggiamento degli edifici?

“L’altro grande tema è quello legato alla complessità degli edifici. Negli ultimi vent’anni vi sono sempre più materiali utilizzati e sempre più professionalità coinvolte. Solitamente i problemi nascono nei raccordi, nelle interfacce. Per esempio, la maggior parte di danni è dovuta a infiltrazioni d’acqua. Non basta il serramento perfetto o il muro a regola d’arte, perché spesso è nel punto di raccordo che nascono i problemi. In questi casi, prima di studiare il risanamento è fondamentale capire quali sono le cause all’origine del danno”.

 

L’ingegnere, quindi, non deve limitarsi a fare calcoli.

“Il punto è proprio questo. Non solo nel mio settore, ma a partire dal team di progettazione, occorre interpretare il ruolo dell’ingegnere come un consulente che ha una visione globale dell’opera, poi, certo, deve anche far bene i calcoli. E ovviamente vanno considerati, gli altri due elementi che giocano nella realizzazione di un edificio: le ditte esecutrici e il committente”.

 

Cioè?

“Non sempre le ditte esecutrici hanno tutto il know-how necessario e non sempre il committente ha chiaro cosa vuole. E in ogni caso vi sono delle tendenze in atto che portano a volere sempre di più, ma non necessariamente a investire di più. Un esempio? Anziché adattare il nostro corpo, inventiamo ritrovati tecnologici per farlo: è l’esempio dell’aria condizionata. Chi farebbe oggi un viaggio di 300 km in un’auto senza aria condizionata? Questa tendenza        genera un circolo poco virtuoso”.

 

In che senso?

“Come spiego ai miei studenti, produciamo lampadine più efficienti a basso consumo energetico, ma ne utilizziamo dieci in una stanza, mentre prima ce n’era una sola (e le persone l’accendevano solo quando era necessario). Dovremmo sempre affrontare le questioni con una visione globale. Inutile spendere soldi per i pannelli fotovoltaici, se la casa è pessima dal profilo della dispersione energetica, meglio prima intervenire su questo fronte. Lo stesso discorso vale per la gestione del territorio. In Svizzera negli anni passati abbiamo investito in strutture, anche in quota, in zone non abitate, in chiave di prevenzione del dissesto idrogeologico e siamo stati lungimiranti rispetto ai cambiamenti climatici. Dobbiamo continuare a esserlo”.

 

Ha parlato degli studenti. Lei è anche docente alla SUPSI, consiglia di diventare ingegneri?

“Alla base di tutto dev’esserci la passione, come in ogni mestiere o professione. Dopo di che consiglio di imparare bene le lingue: inglese e tedesco, soprattutto. Di girare e farsi un’esperienza in Svizzera interna, in Germania o fuori dall’Europa. C’è sempre tempo per ritornare alle origini”.

 

La figura dell’ingegnere affascina le nuove generazioni?

“In Ticino abbiamo una carenza di ingegneri. Un po’ perché molti preferiscono andare oltre Gottardo a lavorare, un po’ perché viene vista come meno gratificante rispetto ad altre professioni. Ma gli ingegneri bravi guadagnano bene e, se si ha visione globale, si può dare un importante contributo nei team di progettazione, vedendo riconosciuto il proprio ruolo”.

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