Un po' di pazienza
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Ponte
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Il ponte che c’è ma non si vede

I norvegesi sono un popolo di celebri navigatori sin dai tempi dei vichinghi. Esserlo era, ed è, una necessità dettata dai lunghi fiordi che precipitano nel mare del Nord, per cui è molto più semplice solcare le acque per spostarsi da un luogo all’altro della costa, rispetto all’inerpicarsi su estenuanti pendii. Sarà per questa familiarità con l’acqua salata che negli ultimi anni in Norvegia hanno investito risorse per riuscire a realizzare ponti tubolari che galleggiano sotto il livello del mare. Nel gergo ingegneristico si chiamano ponti di Archimede e a guidare la ricerca è un’ingegnera originaria di una città d’acqua dolce, a due passi dal Ticino, Como. Si chiama Arianna Minoretti, lavora per lo Statens vegvesen, la pubblica amministrazione delle strade norvegesi, vive a Trondheim, la terza città del Paese scandinavo, e l’abbiamo intervistata per Bistrot.

Arianna

Innanzitutto, cos’è un ponte di Archimede?

“È una struttura tubolare per il transito di mezzi di trasporto che viene posizionato sotto la superficie delle acque per collegare due sponde. Può attraversare un tratto di mare o di lago e sfrutta il celebre principio di Archimede. Possiamo definirlo un ponte tubolare sommerso e galleggiante. Non affonda poiché riceve una spinta verso l’alto da parte del fluido nel quale è immerso, uguale per intensità al peso del volume del fluido spostato”.

 

Esistono già dei ponti di Archimede?

“Non sono una novità, furono ideati già a fine Ottocento, ma non sono mai stati realizzati poiché non c’era l’adeguata tecnologia”.

 

E adesso è disponibile?

“Sì, da circa quarant’anni. Grazie gli investimenti in ricerca sviluppati per ancorare ai fondali le piattaforme petrolifere, sono stati realizzati gli sviluppi tecnologici che consentono di progettare e realizzare un ponte di Archimede in modo sicuro”.

 

Però sinora si è rimasti agli studi di fattibilità. 

“Sì. Non esistono ancora realizzazioni concrete. In Norvegia siamo all’avanguardia in questi studi, poiché abbiamo fatto ricerche e test per collegare le sponde di alcuni fiordi con ponti d’Archimede nell’ambito di una ridefinizione del tracciato dell’E39”

 

Cos’è l’E39?

“È una strada europea lunga circa 1’100 km che parte da Trondheim, in Norvegia, e segue la costa per poi approdare ad Aalborg, in Danimarca. Vi transita gran parte del traffico merci tra sud e nord della Norvegia, ma è una strada in alcuni tratti tortuosa, inoltre sono presenti diversi attraversamenti nei quali è necessario prendere il traghetto per andare da una sponda all’altro del fiordo. Per questo la Norvegia da tempo ha avviato un progetto per trovare soluzioni di collegamento alternative. E tra queste vi è anche l’ipotesi dei ponti di Archimede”

 

In questo progetto qual è il suo ruolo?

“Sono capo ingegnere, responsabile per gli studi di fattibilità del ponte di Archimede lungo la E39”.

 

Come lo è diventato?

“Nel 2013 mio marito, che è professore e al tempo era ricercatore, ha ricevuto un incarico in un ateneo norvegese, io ero libero professionista in Italia e ho iniziato a cercare un lavoro in Norvegia a fine 2013. Ho risposto a un bando dell’Amministrazione pubblica norvegese, era richiesto un ingegnere con esperienza nella progettazione di strutture in calcestruzzo armato, avevo quell’esperienza e nel 2014 sono stata assunta”. 

 

Torniamo agli aspetti tecnici. Il ponte a che profondità si trova?

“A circa una ventina di metri dalla superficie, ma può attraversare fondali anche di centinaia di metri di profondità”.

 

Quale lunghezza può avere un ponte di Archimede?

“Dipende. Sino a qualche centinaio di metri non ha bisogno di ancoraggi o sostegni particolari, per distanze superiori è possibile realizzarne di alcuni lunghi decine di chilometri, ma in questo caso occorre prevedere dei pilastri o degli elementi di stabilizzazione verticale”

Che diametro ha il tunnel e con cosa è realizzato?

“Anche in questo caso dipende da che cosa si vuol far passare dentro: solo veicoli su gomma o anche ferrovia. Quello che abbiamo progettato qui in Norvegia prevede due condotti e un diametro di 12,5 metri. La struttura è in calcestruzzo armato”.

 

Quanto costa un ponte di Archimede?

“Vi sono diverse variabili. In generale ha il vantaggio di avere una crescita di costi lineare a prescindere dalla lunghezza, mentre altri ponti hanno crescite di costi esponenziali all’aumentare della lunghezza. Applicando la tecnologia proposta per i fiordi norvegesi, ad esempio il Bjørnafjord, una cifra di riferimento potrebbe essere 600’000 euro (circa CHF 650’000, ndr) a metro lineare, ma il costo potrebbe ridursi ad esempio a 170’000 euro a metro lineare nel caso di assenza di elementi intermedi, come per la soluzione proposta per il Digernessundet”.

 

Quindi si tratta di investimenti miliardari? Esiste la possibilità che si realizzino? 

“Sì. Abbiamo studiato ipotesi per tre collegamenti in tre diversi fiordi. In un caso, complice la situazione Covid-19 e la conseguente crisi economica mondiale, si è deciso di soprassedere. In un altro caso, si è optato per una struttura di ponte galleggiante già collaudata e nel terzo caso, Sulafjord, attendiamo di sapere quale sarà la scelta. Si tratta di coprire una distanza di oltre 4 chilometri e riteniamo la nostra proposta una valida soluzione”.

 

Quali sono i vantaggi di questa soluzione ingegneristica? 

“Innanzitutto, non ha un impatto paesaggistico, dalla terraferma non si vede. Inoltre, mentre i ponti galleggianti con condizioni di mare molto mosso devono essere chiusi, i ponti di Archimede prevedono giorni di chiusura solo in condizioni particolari, normalmente non si avverte alcuna oscillazione. Questo perché i ponti sopra la superficie dell’acqua sono esposti ai carichi ambientali che invece con l’immersione della struttura è possibile in parte ridurre. Stiamo svolgendo anche una campagna di test specifici per fuoco ed esplosioni, che sono carichi normalmente previsti in fase di progettazione.” 

Avete studiato anche l’impatto su flora e fauna marine?

“Questo è un elemento da approfondire caso per caso, si tratta di analizzare l’ecosistema a una determinata profondità, e questo cambia a seconda della zona, poiché dipende dal tipo di mare o di lago, dalle correnti, temperature. Senz’altro è necessario uno studio approfondito per ogni applicazione specifica. Siamo già a conoscenza tuttavia di alcune indicazioni generali applicabili, ad esempio, alla riduzione dell’impatto nella fase di costruzione”.

 

Conosce altri progetti internazionali di ponti d’Archimede?

“Sin dagli anni ‘60 erano stati proposti anche per laghi come quello di Como, di Lugano o di Ginevra, ma non c’era ancora la tecnologia. Ora vi sono studi per ponti di Archimede in diversi posti nel mondo, come ad esempio in Corea del Sud o per il Mar Rosso. Intanto, il Fib (federazione internazionale per il calcestruzzo strutturale) pubblicherà a breve le prime linee guida per la progettazione di questo tipo d’infrastruttura, un documento scritto da un gruppo internazionale di esperti che ho avuto l’onore di coordinare”.

Quando viaggeremo su un ponte di Archimede?

“Difficile a dirsi. La tecnologia c’è, abbiamo fatto test e studi. Ora dipende dalle scelte politiche, in alcuni casi si hanno magari delle riserve a investire in un progetto nuovo e mai realizzato, quando ci sono delle alternative disponibili. Vedremo”

 

Senz’altro la costruzione della prima di queste strutture farà da apripista per molte altre possibili applicazioni e aprirà un nuovo mercato per costruttori e prefabbricatori.

“Chissà che il primo non venga realizzato per  realizzare l’attraversamento dello Stretto di Messina..”, commenta Minoretti, memore che già negli anni Settanta un architetto inglese aveva proposto una simile soluzione per superare i vortici di Scilla e Cariddi.

D’altronde il buon Archimede era un greco di Siracusa, se i nomi hanno un destino, il primo ponte ispirato al suo principio dovrebbe vedere la luce nella sua terra: la Sicilia.

 

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