Il vino che profuma di bosco ticinese
La saggezza popolare dice che è nella botte piccola che sta il vino buono. Ma a Lumino, più che alla dimensione guardano alla qualità, perché vogliono che il proprio vino si affini con i profumi dei boschi del Ticino. Nasce così un vino che sa di terroir dall’uva sino alla botte. Il merito è di Davide Biondina che ha deciso che doveva essere non solo un abile viticoltore e un esperto vinificatore, ma anche un provetto bottaio. L’abbiamo intervistato.
Con sua moglie, Rahel Kuhn, gestisce l’azienda vitivinicola Terre d’Autunno, quando è nata la passione per la vigna?
“È una tradizione familiare, sono cresciuto vedendo i miei coltivare vigneti a Monticello e Lumino. È qualcosa che vivo sin dall’infanzia e sono riuscito a condividere questa passione con mia moglie”.
La passione per le botti invece è nata dopo?
“Sì, è una caratteristica della nostra azienda che abbiamo inserito con il passare degli anni, quando abbiamo pensato che il nostro vino doveva sapere al 100% di territorio”.
Quindi usate legno locale?
“Sì, il nostro vino è a km zero. Scegliamo la pianta, la tagliamo, aspettiamo 36 mesi per completare il processo di essiccamento e stagionatura e poi l’assembliamo, a questo punto c’è bisogno della tostatura, che avviene ponendo un braciere all’interno della botte”.
Un lavoro lungo e laborioso. Quante riuscite a produrne?
“Circa una decina l’anno”.
E quanto tempo viene utilizzata una botte?
“Noi la cambiamo dopo tre anni”
Serve un legno specifico?
“La quercia, il rovere, è il legno migliore. Abbiamo provato anche a utilizzare il larice o il castagno, che sono alberi tipici delle nostre zone, ma non danno le garanzie che offre il legno di quercia”.
Di che dimensioni sono?
“Le classiche barriques francesi contengono circa 225 litri, quelle che produciamo noi sono invece da 300 litri. È una scelta enologica, in questo modo si ottiene un impatto più delicato del legno sul vino”
Le botti bisogna però riempirle, quali uve coltivate?
“Per la stragrande maggioranza sono uve Merlot. È un vitigno che in Ticino si è ben ambientato da tempo e sta dando buoni vini, anche quest’anno per esempio alcune nostre etichette hanno conquistato riconoscimenti nei concorsi nazionali. Il Merlot ticinese è ormai ben conosciuto e identificato. Però, vogliamo provare anche nuovi vitigni. E bisogna sperimentare per capire se un’uva è adatta al territorio e se può dare buoni vini. Per esempio, abbiamo da poco impiantato un vigneto di Sauvignac, è un vitigno a bacca bianca, particolarmente resistente alle malattie e alle condizioni climatiche. Può dare origine a bianchi strutturati (tipo Riesling, ndr)”.
Com’è andata la vendemmia 2020?
“Devo dire che è stata in generale un’ottima annata, una delle migliori del decennio. Per i bianchi potremmo già iniziare a berla in primavera. I rossi invece fanno almeno dodici mesi di barrique, per poi passare all’affinamento in bottiglia, per cui arrivano sul mercato dopo un paio d’anni dalla vendemmia, le riserve fanno invece due anni di barrique”.
E per i rossi riserva, quand’è il momento migliore per stapparli?
“Direi dopo 5-7 anni”.
Quante etichette avete?
“Sette. Cinque di rosso e due di bianco. I bianchi sono un Bianco di Merlot e un Viognier in purezza. Poi ci sono tre Merlot in purezza: “Alessio”, “Riserva del Bottaio” e “Rivivo”. Quest’ultimo è affinato in botti di rovere provenienti dal parco della Fondazione del Monte Verità di Ascona. “Questo” è invece un Merlot con una piccola percentuale di Cabernet Sauvignon. Lo produciamo in collaborazione con l’azienda Mondò di Sementina. Infine, c’è “249”; è l’unico vino che non deriva da uve ticinesi, è una Barbera d’Asti prodotta in collaborazione con le storiche cantine piemontese Coppo. Il vino viene affinato nelle nostre botti di rovere ticinese stoccate presso la stupenda cantina di Canelli”.
Come nascono i vostri vini?
“Vinifichiamo in purezza le uve di ogni singolo vigneto, e solo successivamente valutiamo come affinarle in barrique”.
Il mercato dei vini ha risentito degli effetti della pandemia?
“Noi ce la siamo cavata, nonostante tutto, abbastanza bene. Oltre alla clientela locale e a quella dei ristoranti e dei grotti, stiamo assistendo a un aumento delle vendite online anche verso la clientela oltre Gottardo”.
È ora di sedersi a tavola, con cosa abbina i suoi vini?
L’Alessio, fresco e fruttato, può essere ottimo per accompagnare degli affettati come quelli tipici delle nostre valli. Un Merlot riserva, per restare alla nostra tradizione culinaria locale, va benissimo con una polenta e spezzatino. E il Viognier l’abbinerei a formaggi erborinati o leggermente piccanti”.
Un’ultima domanda, ma un viticoltore d’inverno riposa?
“Mica tanto. Anzi. Dopo la vendemmia c’è la vinificazione, poi la potatura, poi arriva la primavera e l’imbottigliamento. Lavoriamo sempre”.
E così Biondina ci saluta velocemente, per correre al prossimo appuntamento. Il vino non si fa da solo, richiede impegno e sapienza, ma nella voce di chi lo produce, nell’entusiasmo e nella passione che trasmette, comprendiamo che può dare grandi soddisfazioni.
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