Un po' di pazienza
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Story

La selvaggina è servita

Chi nasce ai piedi delle Alpi associa l’autunno all’odore di camino, di paioli fumanti, di brindisi con il bicchiere di rosso e il vociare dei cacciatori che a tavola raccontano dell’ultima preda cacciata. Servono però abili capacità culinarie per trasformare la selvaggina in piatti succulenti. Un’arte che affonda nella tradizione e che viene custodita e tramandata a livello familiare, anche da chi il cappello da cuoco l’ha indossato in rinomati hotel dalla facoltosa clientela internazionale, ma che poi ha voluto portare l’innovazione nel ristorante di famiglia, senza dimenticare la lezione del territorio.

Per molti è il ricordo di un viso noto del piccolo schermo, è un piatto forte da servire in tv. Lui è Alan Rosa e il suo Groven di Lostallo è un punto di riferimento per chi vuole deliziarsi con piatti gustosi e ricercati al contempo, e soprattutto non vuol sbagliare quando si tratta di selvaggina.
A Bistrôt racconta dei suoi cavalli di battaglia, dalla sella di camoscio alla cena dello stambecco.

Piatto

Chef, iniziamo da quando portava i pantaloni corti, tra i fornelli c’è cresciuto…

“Sì, al Groven, in cucina c’era mia nonna Maria, poi ne ha preso l’eredità mio padre Giacomo. E ora ci sono io. In me la passione di stare in cucina, c’è sempre stata, sin da ragazzo. Prendere la via della scuola alberghiera per me è stato naturale”.

 

Poi però, per l’apprendistato, lo scenario è cambiato, non più la cucina a conduzione familiare, ma le luci del grand hotel. 

“Sì, sono andato al Palace di St. Moritz. Uno tra gli hotel più rinomati al mondo, con una clientela esclusiva e internazionale. Ho imparato a lavorare in brigata, a cucinare di tutto, perché lì ogni desiderio del cliente andava assecondato, a ogni orario”.

 

Non è mancata un’esperienza stellata.

“Sì, sono stato a Küsnacht al Rico’s dello chef Rico Zandonella, due stelle Michelin. Un grande maestro dal quale ho appreso come innovare rispettando le materie prime, esaltandole”.

 

Infine, il ritorno in Mesolcina.

“Sì, nel 2006 sono tornato al Groven per proporre la mia idea di cucina. Oggi chi viene a Lostallo sa cosa trova, non importa il menu, ma il modo di proporre i piatti”.

 

A metà anni Duemila è stato tra i primi chef a comparire nei programmi di cucina, che poi hanno spopolato.

“Senz’altro quella televisiva è stata un’esperienza che mi ha reso popolare e che ha contribuito a comunicare una mia identità precisa. Vi sono molti pro e anche qualche contro. Quando ho provato a prendere un giovane chef che mi affiancasse, i clienti, quando mi vedevano fuori dalla cucina, avevano il pregiudizio che non ero stato io a cucinare e che quindi i piatti non fossero perfetti. Così, alla fine sono tornato dietro ai fornelli. Essere diventato personaggio comporta che i clienti vengano al ristorante non solo per i piatti, ma anche perché sanno che li cucini tu”.

 

Qual è il suo menu ideale?

“Diciamo che l’autunno è per noi il periodo con maggiori richieste, perché proponiamo i nostri piatti a base di selvaggina. Negli altri periodi dell’anno spesso non esiste una carta, imposto il menu in base ai migliori prodotti che trovo sul mercato, oppure chiedo al cliente se ha qualche preferenza. Mi piace una cucina che segua anche l’istinto, che sia frutto di convivialità, non solo di ricerca esasperata”.

 

Tradizione o innovazione?

“Quando ripropongo ricette tradizionali, sono per non alleggerirle ma per farle come si facevano un tempo. Mentre quelle che creo hanno un occhio che guarda al territorio, ma anche uno che rispetta metodi di cottura e di lavorazione contemporanei che abbinano il gusto alla leggerezza”.

 

Veniamo al cavallo di battaglia: la selvaggina. Piatto forte?

“La sella di capriolo. In questo caso ci riforniamo prevalentemente da riserve di caccia in Austria e Germania”.

Colonna sonora

 

Voi proponete anche della selvaggina particolare?

“Sì, quando i cacciatori ce li portano abbiamo anche la marmotta e lo stambecco. Quest’ultimo arriva dalla caccia selettiva. Il cacciatore può prendere due esemplari. Solitamente uno lo tiene per lui e l’altro lo cede. A volte è un maschio, a volte una femmina. A volte è un esemplare di 3-4 anni, a volte di otto. Questo influisce molto sul sapore della carne”.

 

E quando si può mangiare lo stambecco?

“Normalmente proponiamo una cena all’anno, tutta a base di stambecco. Sono 10-12 portate: carpaccio, tartare, primi, secondi: ossibuchi, brasato, saltimbocca, e così via. È una carne particolare, che in alcuni tagli, tipo lo scamone, ricorda la carne di manzo per consistenza e colore. La cosa fondamentale è pulire l’animale correttamente dopo l’abbattimento”.

 

Cosa vuol dire?

“Innanzitutto, quando si spara alla selvaggina, questa può subire dei traumi dalla caduta, per esempio se è abbattuta su una roccia e precipita di sotto. E questo può incidere sulla qualità della carne. Inoltre, faccio l’esempio della marmotta, se anziché sparare alla testa, si spara al corpo, non resta molto da mangiare una volta pulita. La cosa fondamentale, però, è che l’animale venga subito pulito delle interiora in modo corretto, altrimenti si pregiudica la sua conservazione e il suo sapore. Insomma, ci sono tanti fattori che giocano nel sapore di un piatto di selvaggina. Per questo la materia prima di partenza è fondamentale per avere dei piatti eccellenti.” 

 

Cosa beviamo con un piatto di selvaggina?

“Senz’altro dei rossi corposi, un Merlot invecchiato va benissimo. Con certe lavorazioni a crudo come un carpaccio, può andar bene anche un bianco strutturato. Poi c’è anche chi si beve il Barolo con il pesce. Io non lo consiglio”.

 

La richiesta più strana da un cliente?

“Solitamente non ne ricevo perché chi viene al Groven, ormai sa cosa proponiamo. Ci sono anche vegetariani che vengono per assaggiare il nostro assortimento di contorni e poi magari ci abbinano una fetta di formaggio al posto della selvaggina. Però ricordo che una volta al Palace, dove si diceva di accontentare sempre il cliente, arrivò la richiesta di un gruppo di non so più quale Paese, che voleva mangiare del cane. Dicemmo loro che in Svizzera non era possibile”.

 

La tradizione di famiglia continuerà?

“Mio figlio ha 16 anni, ama mangiare bene, ma mi ha detto che non si vede davanti ai fornelli. Però, chissà. Magari tra 10 anni cambierà idea oppure no. Il mondo muta molto velocemente”.

È vero, i gusti sono sempre in evoluzione, ma siamo sicuri che anche se andassimo su Marte, difficilmente dimenticheremmo il ricordo del profumo del camoscio in salmì di Groven.

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Stambecco, prelibatezza da oltre 5mila anni

 

Sapete qual è stato l’ultimo pasto di Ötzi, la mummia del Similaun trovata nel 1991 sul ghiacciaio della val Senales e vissuta circa 5.300 anni fa? Speck di stambecco.
Lo ha rivelato lo studio condotto dall’esperto di mummie Albert Zink e dai suoi colleghi dell’Eurac di Bolzano che hanno analizzato la nano-struttura della carne mangiata dall’uomo dell’Età del Rame, comparandola con vari tipi di carne e di lavorazione. La presenza di fibre nel cibo mummificato porta a ipotizzare che fosse carne cruda ed essiccata, poiché con la cottura le fibre si perdono. Perciò Ötzi si nutriva di carne essiccata di stambecco, che forse era stato cacciato con un arco simile a quello ritrovato accanto alla mummia. 


Nel suo stomaco anche resti di felci, carne di cervo e farro. I ricercatori pensano che la sua dieta non fosse però una scelta da ghiottone, ma una dieta ricca di grassi per affrontare le giornate trascorse in quota, anche se non è ancora chiaro che lavoro facesse.

 

Caccia allo stambecco

 

Nei Grigioni per partecipare alla caccia selettiva allo stambecco occorre annunciarsi nei primi giorni d’aprile compilando un apposito modulo. Di regola, attorno al 10 giugno, i cacciatori annunciati vengono informati se sono stati scelti e pertanto possono partecipare alla caccia di quell’anno. Poi, i cacciatori che sono stati scelti devono seguire alla metà del mese di agosto un corso obbligatorio. 

 

La caccia allo stambecco si svolge nel periodo dal 1° ottobre al 15 novembre. Essa dura per ogni cacciatore al massimo 20 giorni. Vi sono eccezioni per particolari colonie. I costi sono di 200 franchi per la licenza e variano da 160 a 660 franchi per l’abbattimento. Gli esemplari giovani da cacciare sono assegnati ai cacciatori più giovani, i più anziani ai più anziani.

CHF 200.– per la tassa base (licenza). La caccia allo stambecco “esige molto per quanto concerne le capacità di muoversi in alta montagna, la resistenza, la valutazione del selvatico e l’attitudine al tiro”. 

Alan Rosa
Anno di nascita: 1975
Professione: chef

 

Cresce tra i fornelli del ristorante di famiglia a Lostallo. Dopo esperienze in grand hotel e cucine stellate, torna al Groven per proporre la sua cucina basata su una tradizione interpretata in modo contemporaneo. Per diversi anni è un volto noto in tv, partecipando alla trasmissione Cuochi d’artificio.

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